In alternativa al c.d. `Metodo esegetico' si intende proporre un `Metodo ermeneutico', più precisamente definibile come 'critico-induttivo'; si tratta in realtà una presa di posizione chiara:
a) sotto il profilo della dottrina dell'interpretazione l'approccio 'ermeneutico' indica con chiarezza un modo di rapportarsi con la realtà ed il 'testo'; non si può quindi ritenere equivalenti l'interpretazione, l'esegesi e l'ermeneutica;
b) l'approccio ermeneutico é profondamente esistenziale poiché parte dal vivere dell'uomo e presume sempre una 'pre comprensione' dell'umano rispetto a qualsiasi dato; si attuano precisamente in questo approccio il principi: 'jus sequitur vitam' e 'ex facto oritur jus'; diventa così evidente che il diritto non precede ma segue l'esperienza umana. Il diritto é così davvero tecnica relazionale previa concepita però a posteriori;
c) un approccio metodologicamente corretto terrà dunque presente non solo l'esegesi della norma, ma anche i due circoli ermeneutici: quello del legislatore e quello dell'attuatore; si evita in questo modo l'interpretazione evolutiva che vede il testo come sovrano indipendentemente da ogni 'ratio'; il circolo ermeneutico del legislatore evidenzia la 'ratio essendi' della norma, quello dell'attuatore esplicita la 'ratio agendi' di chi deve 'jus dicere' in ciascuna circostanza esistenziale (Giudice e 'Ordinario')
d) si parla di metodo critico-induttivo per sottolinearne alcune caratteristiche:
CRITICO:
- criticità verso ogni dogmatismo più o meno intenzionale stratificatosi lungo la storia;
- riesame dell'evoluzione storica dell'istituto e degli eventuali elementi/circostanze che possono averlo sviato inconsapevolmente;
- riesame dell'iter di positivazione della norma;
- riesame della dottrina in materia;
INDUTTIVO:
- conoscenza del 'circolo ermeneutico' del legislatore: esplicitazione della 'ratio essendi' della norma a partire dal vissuto storico e dalle problematiche reali in materia;
- conoscenza del 'circolo ermeneutico' dell'attuatore: individuazione della 'ratio agendi' della norma nel contesto ecclesiologico/pastorale 'attuale';
- primato del vissuto, della sua stratificazione e varietà.
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La necessità della 'fede' in quanto giunto fino a noi come conoscenza acquisita e la sua necessaria assunzione quale base del nostro conoscere non esclude affatto, anzi postula, una valutazione almeno di massima della congruità di quanto proposto ed affermato.
Si tratta della necessaria 'componente critica' da esigere in ogni processo conoscitivo.
Le conclusioni del sapere altrui, prima di diventare 'presupposti pacifici' del nostro attuale conoscere e ricercare,devono essere sottoposte ad una istanza di legittimità che ne verifichi il permanere della validità alla luce delle conoscenze ed acquisizioni attuali.
Il presupposto ermeneutico è ineliminabile a dev'essere comunque applicato a qualsiasi 'fonte' si voglia considerare quale punto di partenza per la propria indagine.
Non si tratta di voler ripetere ciascuno degli esperimenti effettuati o dei singoli passaggi logici, ma di verificare i criteri applicati, riconoscendone anche nell'oggi il valore e l'efficacia.
Solo i risultati forniti dall'applicazione di criteri omogenei d'indagine possono essere assunti quali punti di partenza 'certi' per futuri sviluppi perché al dogmatismo non subentri un, peggior, fideismo... non meno dogmatico ed aprioristico.