La normatività comportamentale





Un discorso sulla normatività comportamentale non può prescindere da alcune premesse di carattere metodologico sui rapporti tra le diverse scienze e le loro specificità; per chiarezza di presentazione, almeno circa l’oggetto specifico di questa trattazione di natura (filosofica) giuridica, accogliamo la schematizzazione fornita da T. Jimenez Urresti nel suo De la teología a la canonística .
Per il grande Canonista spagnolo le scienze sostanzialmente si dividono, in ragione dell’oggetto della loro conoscenza, in tre grandi categorie : filosofia (le cose che sono), tecnologia (le cose che si fanno), deontologia (gli atti di condotta) ; tralasciando qui le specifiche delle prime due categorie, non pertinenti, occorre suddividere nuovamente la deontologia (il "dover essere") in due sottocategorie: le scienze delle cose ‘osservate’ (scienze storiche e sociologiche) e le scienze delle cose ‘da osservarsi’ (norme che regolano la condotta umana).
Ad ogni tipologia scientifica corrisponde una propria ‘logica’, un proprio ‘metodo’ , un proprio ‘oggetto formale’; così la logica della filosofia é ‘enunciativa’, immediata (ratio cognoscibilium, ratio cognoscendi), quella della tecnologia é ‘fattiva’ (ratio factibilium, ratio faciendi), mentre quella della deontologia é ‘storica’ per il passato (ratio actorum) e decisionale per il futuro (ratio agibilium, ratio agendi) ; la logica deontica applicata al futuro può essere chiamata anche ‘logica normativa’ e si esplica in tre scienze differenti: Etica, Morale, Diritto ; la distinzione tra le tre discipline comportamentali é necessaria per individuare la vera ‘natura’ e portata del Diritto… una corretta inquadratura delle prime due faciliterà l’individuazione della terza che se ne distacca in modo sostanziale.

a) Etica e Morale
Illustrare in modo immediato e chiaro (come vorrebbe T. Jimenez Urresti) queste due discipline comportamentali normative non risulta semplice ai nostri giorni; in effetti oggi difficilmente le due discipline vengono trattate disgiuntamente… Si tratta piuttosto di due prospettive complementari da cui accostare lo stesso tema del ‘dover essere-agire’ umano nei suoi presupposti fondazionali (l’Etica) —altrimenti chiamato ‘momento metaetico’— e contenutistici (la Morale) —o ‘momento assiologico-normativo’—. La riflessione più analitica in proposito attribuisce all’Etica la competenza sui presupposti del ‘dover essere-agire’ da parte dell’uomo e sulle condizioni strutturali del suo ‘poter essere-agire’; allo stesso tempo la Morale indaga non tanto la ‘praticità’ della condotta umana (le ‘norme’ e la loro attuazione concreta) quanto i suoi contenuti valoriali, in tal modo all’interno di un’antropologia cristiana alla base della Morale sta la Rivelazione divina contenuta nella S. Scrittura e la Morale diventa ‘Teologia morale’ riassumendo in sé entrambi gli aspetti .
Un approccio analitico tuttavia che voglia mantenere distinte le due scienze trova la propria legittimità nelle stesse origini della riflessione etica e morale.
o "Etos" con la "e" breve, l’epsilon, designava infatti la “sede abituale, quindi il luogo dove uno abita e che gli é di conseguenza abituale. Questo spiega l’uso astratto del vocabolo éthos nel senso di abitudine, consuetudine, usanza e infine costume” . Dunque il termine éthos significa “il complesso dei modelli di comportamento che, non scritti né precisamente formulati dalla tradizione, pure sono in qualche modo da tutti riconosciuti ed apprezzati, e diventano in tal senso i referenti obbligati per ogni apprezzamento che si produca nella vita comune dei comportamenti propri ed altrui” .
"Htos" scritto con la "e" lunga, l’eta, aveva il significato di ciò che é conforme all’essere dell’uomo, alla sua struttura ontologica, alla sua essenza.
L’éthos (con l’epsilon) esprime un patrimonio normativo tramandato che, di fatto, condiziona l’orientamento ed il comportamento dell’uomo; dall’altro lato, l’êthos (con la eta) esprime qualcosa di incondizionato, ovvero un’esigenza che domanda al singolo soggetto agente di agire in conformità al proprio essere.
Storicamente quindi, il termine "ethos" prima di essere assunto anche quale espressione della dimensione profonda dell’essere e dell’agire dell’uomo (êthos) é stato preceduto da una fase che lo vedeva legato esclusivamente alle abitudini ed alle consuetudini di un popolo.
o In ambito latino non si é recepita l’evoluzione contenutistica del termine e lo si é tradotto semplicemente col vocabolo mos-mores, dando risalto al significato di costume di un determinato popolo. La traduzione si é così ripercossa negativamente in ambito morale: la dimensione ontologica (indicativo) é stata progressivamente lasciata cadere a spese della dimensione normativa (codici di norme morali e giuridiche).
Posta questa premessa terminologica, senza pretese di categoricità, ed a titolo poco più che esemplificativo, indichiamo alcuni elementi essenziali per individuare queste due scienze e così ‘distinguerle’ opportunamente dalla terza, il Diritto .

1) L’Etica (da ethos = comportamento, il comportarsi) ha per oggetto l’attività umana considerata in se stessa e nel suo valore intrinseco: come agere e non come facere; é la ricerca del criterio, o dei criteri per valutare le azioni umane .
L’Etica studia l’attività umana con riferimento al suo fine ultimo, che é la piena realizzazione dell’umanità; il problema etico assume così due aspetti principali: a) il fondamento delle norme, b) le condizioni che ne rendono possibile l’osservanza. Sul primo versante si indaga circa il fondamento ed il valore dei codici, dei principi, delle leggi, delle norme e delle persuasioni morali esistenti… é il problema critico; dall’altra parte si studiano le condizioni che rendono possibile l’azione morale in assoluto: il criterio di ciò che é morale o immorale nell’uomo, il fine ultimo della vita, i mezzi più adatti per conseguirlo… é il problema teoretico. Il primo versante si presenta di fatto come preambolo necessario al secondo ponendo sistematicamente in questione la Morale corrente onde ‘purificarne’ metodologicamente i presupposti ; quasi un’attività di ‘secondo grado’ rispetto alla Morale .
L’Etica é filosofia della ‘posizione etica’ dell’uomo in rapporto al tutto e all’Assoluto; é conoscenza dell’uomo in quanto si pone nel tutto ed in rapporto all’Assoluto; é determinazione dell’agire dell’esistenza in dipendenza dalla sua essenza .

2) Per Morale (da mos-mores = i ‘costumi’, i comportamenti necessari all’interno del gruppo ) la concezione filosofica tradizionale intendeva ciò che é conforme al “costume” approvato dalla prassi generale e come tale é riconosciuto conforme al “dover essere” . Oggi questa concezione ‘sociologica’ (quasi a-personale) non appare più così condivisa ma, ciò nonostante, non si nega il legame (necessario) della Morale con la società tanto che si afferma ancora: "il “luogo” della morale é il rapporto tra individuo e società" ; di fatto la necessaria preminenza da riconoscere all’individuo ed alle sue motivazioni non riesce ad eludere il ‘momento sociale’ dell’agire umano: l’uomo non vive da solo e non agisce da solo e per sé soltanto… é comunque ‘in relazione’.
Sotto questo profilo la Morale, ben al di là di un’osservanza esteriore della vita sociale e dei suoi costumi, condensa in sé il complesso delle disposizioni spirituali ed emotive della persona umana; é la scienza delle disposizioni interne e personali dell’uomo in rapporto con le loro espressioni esterne e sociali . E’ ancora ‘compito’ della Morale individuare e mediare i valori attraverso specifiche norme (morali) che i diversi soggetti possano mettere in atto all’interno del gruppo d’appartenenza ricevendone la dovuta approvazione sociale.

b) Il Diritto: individuazione
Quanto fin qui esposto ha già permesso di differenziare il Diritto dall’Etica e dalla Morale ma senza ‘identificarlo’ specificatamente; occorre ora cogliere con precisione cosa debba intendersi per Diritto.
Per individuare il Diritto non basta il riferimento alla normatività sociale (con relativa ‘sanzione’)… occorre evidenziare un ‘elemento’ ulteriore di grande portata nella concretezza dei rapporti umani: il “rapporto di giustizia” .
Questo "rapporto di giustizia" costituisce un elemento primario nell’esperienza relazionale umana, un elemento così basilare per la persona stessa da ‘filtrare’ ogni relazione, anche quella con la divinità, che viene specificamente individuata come primo referente e garante della giustizia .
Il ‘rapporto di giustizia’ appare a tutti gli effetti un elemento relazionale fondamentale capace di innervare dall’interno i rapporti sociali trasformando un (semplice) ordinamento sociale già istituzionalizzato in un ordinamento giuridico. Non é qui in oggetto la Giustizia come tale ma l’effettiva possibilità di farne esperienza nelle relazioni sociali; la Giustizia non é ‘interna’ all’Ordinamento giuridico… ma i ‘rapporti di giustizia’ lo devono essere.
Di fatto é alla Giustizia come ‘concetto primordiale’ o ‘meta-concetto’ (quasi ancestrale) che fa riferimento in ogni modo l’ambito del Diritto, ritrovando in essa tutte le proprie radici, anche terminologiche. Dalla radice ‘aria’ rj derivano, infatti, recht, rigth, resht, recto… Aggiungendo il prefisso ‘di/e’ si ottengono le parole derecho, diritto, droit, direito… Per inversione fonetica, cosa frequente nell’evoluzione delle radici verbali, si ottiene la nuova radice jr dalla quale deriva jure ed i conseguenti jus, justum, justitia, justicia, juridico, giustizia…
Il ‘rapporto di giustizia’ aggiunge alla semplice ‘relazione sociale’ (tipica dei livelli più ‘bassi’ di evoluzione della relazionalità umana, garantita sufficientemente dalla coscienza sociale del gruppo, la Morale) alcune caratteristiche necessarie quando si giunga a livelli più complessi di societarietà quali l’istituzionalizzazione .
L’affermarsi del ‘rapporto di giustizia’ all’interno di un ordinamento sociale istituzionalizzato introduce alcune ‘note’ peculiari quali: l’oggettività esteriore, la separabilità, la coercibilità.
- L’oggettività esteriore evidenzia la portata della relazione sociale: non importano le disposizioni interiori dei singoli quanto piuttosto ciò che si può vedere e sperimentare concretamente nel rapporto sociale … anche con un altro soggetto che può essere ‘sconosciuto’ (é questa la radice del c.d. ‘foro esterno’);
- anche la separabilità enfatizza il valore sociale della relazione, al punto che (pur avendo la giustizia come riferimento ultimo le intenzioni, i sentimenti, e gli stessi ‘doveri’ di natura morale) in ambito sociale ciò non ricade sotto l’operatività concreta della giustizia; questa infatti guarda all’oggettività della relazione sociale separandola dalla disposizione soggettiva del suo autore;
- dalle precedenti note caratteristiche consegue la nota della coercibilità: il soggetto che rifiuta di porre od omettere un’azione sociale ‘necessaria’ può essere forzato affinché si ottenga tale azione di rilevanza sociale; quando ciò avviene ricorrendo all’uso della forza, effettivo o previsto, si é di fronte al Diritto.

In sintesi: finché la giustizia non si rende ‘effettiva’ nella società attraverso la possibilità d’impiego della forza (coattiva) si é semplicemente davanti alla ‘morale pura’; quando il ‘dover essere’ nei confronti della società può essere coazionato in riferimento a precisi soggetti si entra nel mondo del Diritto .

c) Terminologia
Rigore vuole che in questa sede si esplicitino alcune categorie di significato che saranno oggetto normale di lavoro per il giurista.
1) Diritto = regolamentazione comportamentale normativa-coattiva del sociale, informata a giustizia;
2) giuridico = di/secondo diritto; é l’aggettivo corrispondente al sostantivo “Diritto”; la locuzione “il giuridico” coincide di fatto col significato del termine Diritto;
3) regola = rapporto stabile di corrispondenza di significati ed atteggiamenti all’interno di un particolare ambito operativo; la normatività non le é essenziale mentre lo é la sanzione;
4) norma = regola comportamentale destinata ai soggetti parte dello stesso ambito vitale;
5) legge = tipologia giuridica specifica attraverso cui il legislatore impone un precetto di portata generale ed astratta ad una globalità di soggetti;
6) sanzione = ‘reazione’ del sistema regolamentato alla falsificazione della corrispondenza dei significati entro l’ambito operativo di riferimento;
7) precetto = obbligo comportamentale imposto coattivamente a qualcuno perché ometta/faccia una o più azioni socialmente ‘necessarie’.



dalla "Dispensa del Corso di Introduzione al Diritto Canonico" del Prof. Paolo Gherri