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l'editoriale di partenza.


Si sarà sorpresi senza dubbio che una rivista di teologia come Concilium consacri un numero al Diritto canonico. Una semplice ragione giustifica il nostro tentativo: il Diritto canonico e la Teologia hanno tra loro dei rapporti essenziali.

1) Effettivamente, si può parlare di una teologia `del ` Diritto canonico e di una teologia `nel ` diritto canonico. Qualcuno ha già detto che il Diritto canonico é "il modo giuridico del pensiero teologico". Non é invano che la teologia informi di Diritto canonico e gli offra le basi pre-giuridiche -i dati immutabili della costituzione sociale, gerarchica e sacramentale della Chiesa- ed il fine meta-giuridico, la salvezza delle anime.

E' perché le vicissitudini ed i progressi della teologia si ripercuotono immediatamente sul Diritto canonico. Si pensi, per esempio, alle diverse conseguenze possibili che derivano canonicamente dal fatto che uno ammetta o no il carattere "generico" dell'istituzione dei sette sacramenti e l'autorità della Chiesa su di essi, che sono i suoi strumenti sociali; o il fatto che uno affermi o no la dottrina della collegialità episcopale.

Ora la base teologica pre-giuridica é spesso `indifferente o generica' in rapporto all'espressione strumentale concreta che é la norma canonica. O inversamente: occorre considerare la `natura' essenzialmente `relativa' di numerose disposizioni canoniche, resa possibile dal carattere generico delle loro basi teologiche.

Si comprende così che la marcia della teologia abbia delle incidenze dirette su quella del Diritto canonico, e che il teologo abbia interessi a conoscere la portata canonistica possibile delle sue posizioni teologiche per dare una giustificazione dottrinale alle varianti storiche del Diritto canonico.

2) Questa non-identificazione della teologia e del Diritto canonico, oltre al carattere relativo della regola canonica davanti al carattere assoluto, per quanto generico, della norma teologica, giustifica, conferendogli un certo valore, la distinzione fatta tra "la Chiesa del diritto" (Ecclesia juris) e "la Chiesa della carità" (Ecclesia caritatis).

Per di più si é accusata la teologia, specialmente negli ambienti ecumenici, d'essere "occidentalizzata", "giuridizzata", e di "teologizzare i fatti compiuti", cioé d'assolutizzare teologicamente i comportamenti canonici della storia.

La giusta valutazione della relatività canonica nel tempo e nello spazio contribuirà non poco a liberare la teologia da questa accusa. L'analisi e l'apprezzamento della vita storica del Diritto canonico sono indispensabili per fissare in molti casi la dottrina teologica esatta, poiché, in mancanza di prospettiva storica e dei dati storici canonici, una tentazione minaccia il teologo: quella di identificare delle leggi, degli usi e dei costumi anche molto stabili (e la forza di una tale tentazione é proporzionale a questa stabilità), con delle norme di diritto divino di carattere immutabile, quando non si abbia in effetti che delle regole canoniche che rivelino il potere discrezionale della Chiesa, che può modificarle.

E' perché il Diritto canonico può rendere alla teologia un apprezzato servizio ed aiutarla a divenire più "cattolica", e per conseguenza anche più "ecumenica"; a non identificarsi coi fatti storici canonici, anche se essa é loro soggiacente, informandoli.

3) Per di più, i teologi della pastorale accusano il Diritto canonico di non avare una agilità sufficiente e di mancare d'efficacia strumentale. Essi non dimenticano che la finalità del Diritto canonico é la salvezza delle anime. Essi sanno che entro questi due poli -la costituzione sociale della Chiesa, e la salvezza delle anime- il Diritto canonico é uno strumento per la pastorale, e che come tale si deve continuamente revisionare la sua fedeltà teologica ed il suo adeguamento pastorale. La costituzione sociale della Chiesa, non essendo immutabile che nelle sue linee sostanziali, rende questa revisione possibile; e le necessità cangianti della pastorale la rendono necessaria.

Si comprende che la "teologizzazione" del Diritto canonico assolutizza le leggi canoniche, le immobilizza e le fissa col rigore assoluto dell'immutabilità della verità teologica, trasmettendo questa stessa immobilità alla pastorale, mentre questa é per definizione dinamica e agile, come la vita stessa. Di qui il pregiudizio pastorale che ne deriva.

E' perché le necessità pastorali, incompatibili con l'immobilità canonica che le opprime dalla propria rigidità, spingono così sovente la teologia ad approfondire ed a prendere una coscienza più chiara dei punti di dottrina teologica anteriori al diritto, come un avvio previo e necessario per giungere ad una formulazione canonica adeguata che ne deriva.

Non é questa precisamente una delle esperienze più marcanti del Vaticano II?

Se non si tiene conto che del carattere essenzialmente relativo del Diritto canonico, nei limiti del suo immutabile fondamento teologico essenziale, si può aprire la porta all'instaurazione di un diritto (jus condendum) differente dal diritto stabilito attualmente (jus conditum). E se la pastorale fa pressione sul Diritto canonico per ottenere leggi adeguate, il Diritto canonico fa pressione con tutta la forza della sua missione -che é di regolare ed ordinare la pastorale- sulla teologia, perché questa gli detti i limiti teologici immutabili all'interno dei quali il Diritto canonico può muoversi. Così il Diritto canonico, per incidenza, fa pressione sulla teologia, e la fa avanzare e progredire.

4) In ultimo luogo, l'esposizione e l'esame dell'applicazione esatta del principio delle relatività canonica messo in opera dal legislatore faranno vedere più chiaramente al teologo come gli imperativi generici delle teologia si formulano in leggi canoniche concrete variabile secondo le esigenze pastorali delle differenti circostanze storiche e sociali, e dunque in un quadro che apparirà relativo agli occhi del teologo. Anche il lavoro e lo studio del cononista aiuteranno il teologo a scoprire più esattamente le proprie posizioni.

Questa funzione d'aiuto sarà tutta specialmente attuale nei prossimi anni a riguardo dell'aggiornamento -o l'attualizzazione della disciplina canonica- annunciato dal Concilio. Ma non sarà mai terminata. Poiché la Chiesa, in continuo divenire storico, deve essere in perpetua riforma della propria disciplina in vista della Pastorale, le cui esigenze variano costantemente nel tempo e nello spazio. Da qui la necessità di una costante valorizzazione pastorale delle leggi.

In conclusione: questo numero della rivista `Concilium' tenterà di andare costantemente dal Diritto canonico alla teologia e alla Pastorale e reciprocamente, per scoprire ed applicare il principio del carattere generale delle basi teologiche e del carattere relativo della realtà canonica, sempre in vista di una miglior finalizzazione ed adeguamento pastorale delle leggi. Si propone anche di fornire qualche riflessione destinata a mettere in piedi uno `jus condendum' eventuale di miglior qualità.

Preoccupato di mantenere la sostanza della costituzione divina della Chiesa, ed in uno spirito di servizio, questo numero di `Concilium' vorrebbe aiutare i teologi a "degiuridizzare" la teologia ed i canonisti a "deteologizzare" il Diritto canonico. In tal modo questi potrebbero in definitiva collaborare coi teologi della pastorale e dell'ecumenismo, così come coi legislatori, per presentare la Chiesa e le sue funzioni con un aspetto canonico che la renda progressivamente più agile e munita di un apparato legislativo sempre più adeguato ai segni di ciascun tempo, come la voleva Giovanni XXIII.

Esso vuole dunque avere, per missione e segno, il segno e la missione del Vaticano II: essere "cattolico, ecumenico e pastorale".

N. EDELBY, T. JMENEZ-URRESTI, P. HUIZING.


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