Diritto canonico e teologia due scienze diverse.

Nell'ambiente postconciliare si cerca sempre più di superare la 'teologia giuridicista'. Con ciò si tocca la natura della scienza teologica e di quella canonica. Esistono teologi che qualificano il diritto canonico come 'scienza teologica', 'disciplina teologica', mentre non pochi canonisti la chiamano scienza di positivizzazione. V'é persino il pericolo di una polemica che sarebbe sterile, giacché le due posizioni versano su oggetti distinti, e che potrebbe addirittura risultare pregiudiziale per il rischio di lanciarsi a vicenda delle note teologiche[1].

Unendo insieme le due posizioni, giacché ciascuna ha ragione nel suo campo e sono quindi conciliabili, diremmo, con un'analogia che ci dà luce, che la teologia e il diritto canonico stanno fra loro come la filosofia e il diritto. Esiste una filosofia del diritto, però lo studio del diritto non costituisce una disciplina filosofica, ma la cosidetta 'scienza del diritto'. Il filosofo non fa diritto, quando studia la filosofia del fenomeno umano chiamato diritto; il giurista non fa filosofia quando deve accettare da essa i principi di cui ha bisogno. Così tanto meno il teologo fa diritto canonico o il canonista teologia. Come v'é distinzione tra le scienze umane sul piano naturale, cosi v'é anche tra le scienze ecclesiali sul piano della fede.

I/ SCIENZA TEOLOGICA

La Chiesa é 'evento' e nello stesso tempo 'istituzione', é divina e umana, comunità di fede, speranza e carità, e nello stesso tempo società, popolo dalle strutture sociali.

Studiare e congiungere questi due aspetti di 'evento e istituzione' voluti da Cristo, 'conoscendo e comprovando la volontà di Cristo'[2], cioè i dati rivelati, é proprio della scienza teologica.

I risultati di questo studio teologico devono essere offerti come base al diritto canonico e al canonista. Essi costituiscono 'le strutture fondamentali della Chiesa', che non possono andar soggette a riforme ma solo a compimento fedele. Così nel diritto canonico si racchiude una teologia.

Sappiamo pertanto--ed é proprio della teologia darlo a conoscere-- che nella Chiesa 'l'umano si ordina al divino', tanto che l'elemento sociale e visibile é segno e strumento di quello invisibile, della vita della Chiesa nella Trinità: la Chiesa, vita-istituzione, é 'sacramento' in analogia al mistero del Verbo incarnato, suo fondatore. Tale é la sua 'concezione essenziale'. L'elemento strutturale e sociale della Chiesa, pertanto, esprimendo il mistero (in quanto é possibile, 'per umbras') e ordinandosi ad esso, é 'sacramentale'. Questo carattere che informa il diritto canonico é un dato teologico. E' la teologia del diritto. Esiste così una teologia nel diritto canonico e una teologia del diritto canonico. Il diritto canonico non esiste né può concepirsi senza un contesto teologico, che é parte dell'ecclesiologia[3].

II/ SCIENZA CANONICA

Il canonista riceve ed assume questi dati teologici come postulati provenienti da un altro campo e da una scienza superiore alla sua. Tra questi ne riceve uno che egli sa essere per lui principale e definitivo: Cristo, nell'istituire la Chiesa, la costituì anche come società con strutture sociali, non in forma tanto stabile e immutabile, ma stabilendo le sue basi primarie (la gerarchia con il suo triplice ministero e i mezzi sociali o sacramentali) e anche lasciando a questo un'ampiezza per esprimersi e applicarsi in forme concrete più o meno molteplici (i teologi parlano dell''istituzione generica' dei sacramenti e della gerarchia). Il canonista, cioè, sa dalla teologia che questa 'struttura fondamentale' o 'sostanza' di diritto divino fu istituita da Cristo in maniera generica, lasciando le sue forme concrete e il suo funzionamento pratico al potere della stessa gerarchia da lui fondata. Perciò il diritto deve concretizzarsi, per la sua applicazione storica, attraverso leggi positive della gerarchia medesima, mediante leggi di diritto ecclesiastico.

Lo studio del diritto ecclesiastico, di questa concretizzazione e ordinamento ecclesiastico costituisce la scienza specifica del canonista. Perciò qualcuno disse abilmente che il diritto canonico é 'il modo giuridico della teologicità'.

III/ DUE SCIENZE

Si può poi studiare il diritto canonico su due piani distinti: sul piano teologico, che studia l'aspetto sociale della Chiesa nel suo intimo, nel suo valore interiore e trascendente, nel mistero; e su quello canonico, che studia il suo aspetto umano, fenomenologico e positivo.

La teologia studia i dati rivelati; il suo intento é di formulare la verità rivelata, muovendosi sul piano della sua adeguazione a questa verità, la definisce con giudizi dottrinali.

Il diritto canonico, invece, ricevendo questi dati teologici che riguardano, in maniera generica, la struttura sociale della Chiesa, li positivizza nelle sue leggi; suo fine è il bene politico della Chiesa; muovendosi sul piano della strumentalità e della positivizzazione, ordina i suoi mezzi sociali strumentali (leggi) al suo fine e prescrive una condotta sociale con giudizi pratici, di modo che la 'verità canonica' consiste in questa adeguazione dei suoi mezzi al fine inteso dal legislatore, cioè nella sua efficacia.

Solo la teologia può emettere un giudizio dottrinale, quello dell'adeguazione alla verità oggettiva rivelata, e formularlo in varie lingue, prospettive e con diversi gradi di profondità. Il diritto canonico, invece, può formulare tanti giudizi quante sono le concretizzazioni o positivizzazioni, che gli permette la 'sostanza teologica', e secondo la prudenza del legislatore.

In altre parole: la teologia studia la volontà di Cristo, mentre il diritto canonico prescrive come compiere, nell'ambito sociale della Chiesa, questa volontà di Cristo, cioè studia la volontà della Chiesa, che deve mantenersi conforme alla volontà di Cristo.

D'altra parte, solamente la teologia paro emettere un tipo di giudizio, dottrinale. Il diritto canonico, in cambio, essendo scienza di positivizzazione e di prassi, non é tenuto ad usare lo stesso linguaggio della teologia né nello stesso senso; può impiegare un altro linguaggio o anche lo stesso in forma e valore diverso (valore pratico), giacché ha di mira formule pratiche, strumentali, ordinate al fine pratico del comportamento sociale inteso. Per esempio, dal punto di vista teologico affermare che la gerarchia nel dare le licenze ministeriali ai presbiteri conferisce loro la giurisdizione per confessare, non é lo stesso che dire che approva e non annulla l'esercizio della giurisdizione già ricevuta nell'ordinazione. Però il diritto canonico, che non pretende formulare una dottrina teologica, ma ordinare i comportamenti, può usare indifferentemente l'uno e l'altro modo di dire, giacché ambedue in pratica esprimono ugualmente bene il principio del comportamento dei presbiteri in dipendenza dalla sua autorità, cioè nell'ambito della comunione gerarchica. Nel diritto canonico capita un po' come nella matematica: 'l'ordine dei fattori non altera il prodotto'.

Da tutto ciò si deduce che la teologia e il diritto canonico hanno fini immediati, campi e piani distinti, e possono tenere, e di fatto tengono, linguaggio e logica distinti. Sono due scienze diverse. Però soprattutto le note della strumentalità e della positivizzazione, che entrano nel diritto canonico, lo differenziano essenzialmente dalla scienza teologica.

IV/ RELAZIONI TRA IL TEOLOGO E IL CANONISTA

Da quanto s'é detto si deducono alcune importanti conclusioni, che cercheremo di sintetizzare:

1. Il teologo non deve dimenticare che il giudizio canonico non é in sé e per sé un giudizio teologico; non dovrà prendere senz'altro le espressioni canoniche come espressioni teologiche o argomenti teologici. (Forse le espressioni coincidono, soprattutto nel caso in cui la norma teologica non é solo generica, ma anche tanto concreta in se stessa da valere per se stessa nell'ambito canonico senza bisogno di alcuna positivizzazione attraverso una legge ecclesiastica. Però non sappiamo ciò solo dall'espressione canonica, ma dal suo confronto con la legge teologica). Il teologo deve assumere il dato canonico spogliandolo della sua positivizzazione legale, per dedurne così il contenuto teologico.

2. Il canonista, da parte sua, anche se sa che nell'intimo del diritto canonico v'é della teologia, sa pure che ogni ordinamento sociale ha la sua autonomia, le sue leggi, i suoi concetti e le sue espressioni, e che i diversi articoli, canoni, leggi, formulati in linea strumentale e di positivizzazione, formano un sistema. Perciò non offrirà al teologo le espressioni, il processo logico e le giustificazioni o ragioni di ordinamento, che ha seguito nel suo campo per conseguire i suoi fini specifici.

3. Però come il teologo offre al canonista alcuni dati, così il canonista offre al teologo i risultati pratici del diritto, che, per essere espressione concreta e socializzata del diritto divino della Chiesa, sono non solo fatti canonici, ma anche fatti teologici, fatti con contenuto teologico, che dovranno essere conformi alla costituzione generica del diritto divino della Chiesa e pertanto anche alle spiegazioni e sistematizzazioni teologiche.

Orbene il diritto canonico ha il dovere di realizzare la concretizzazione o positivizzazione del diritto divino generico restando ad esso fedele, cioè restando sulla sua base teologica, di farla funzionare restando fedele alla sua intima natura sacramentale e di regolare l'ordine ecclesiale restando fedele al suo fine trascendente della 'salvezza delle anime'. Può però senza dubbio venir meno a questa triplice fedeltà.

La teologia dirà intanto che questa sua possibile infedeltà non potrà essere sostanziale, giacché i carismi dell'indefettibilità e dell'infallibilità di cui gode la Chiesa riguardano la sua missione sostanziale ed anche il funzionamento sostanziale delle sue strutture sociali, cioè il comportamento sostenitore del diritto canonico. La teologia detterà al diritto canonico i suoi giudizi (giudizi di valutazione teologica) e gli dira se é infedele o no, nei margini d'infedeltà accidentale, per reclamare se é necessaria la sua riforma. Però per ogni fatto canonico, considerato legittimo dall'autorità della Chiesa (magisteriale e canonica insieme) e pertanto fedele ai suoi dati teologici, la teologia dovrà trovare un posto e una giustificazione nel suo sistema dottrinale, se non vuole apparire insufficiente. Per questo il canonista, familiarizzato con la relatività canonica delle molteplici e diverse discipline esistenti legittimamente nella storia, aiuterà il teologo a prendere coscienza del carattere generico dei principi teologici che informano il diritto canonico, e ad aprire di conseguenza i suoi orizzonti teologici senza restringerli all'apparenza dei fatti canonici.

Se il teologo dimentica questa lezione, correre il grave rischio, accusato già da alcuni, di teologizzare i fatti consumati, cioè elevare, senz'altro, a categoria teologica i concreti comportamenti canonici storici, senza spogliarli della loro corteccia di positivizzazione canonica per estrarne il contenuto teologico.

Con ciò il teologo soffocherebbe il diritto canonico per immobilizzarlo col rigore assoluto della verità teologica che attribuisce al fenomeno canonico. E siccome sembra che questo peccato sia stato commesso più di una volta, non é strano che in questo senso si parli di 'deteologizzazione' del diritto canonico, non per privarlo del suo nucleo teologico, ma per estrarne il suo autentico contenuto teologico senza aggiunte.

Per di più, il teologo che commette questo peccato restringe l'ampiezza che, per quanto generici, tengono i principi teologici, identificandoli con una delle sue possibili realizzazioni concrete. 'Giuridicizza' la teologia; perciò si desidera oggi una 'sgiuridicizzazione' della teologia, un superamento della 'teologia giuridicista'.

Alle volte la teologia non giunge a proiettare sufficiente luce sopra temi teologici, che sono base di ulteriori decisioni canoniche. Allora il diritto canonico si difendere come paro, cercando di non compromettere principi dottrinali e in generale con l'astensione, per cui non potrà irradiare il volto della Chiesa con la chiarezza, che, per principio, sarebbe desiderabile. Questo pero non avviene per colpa del diritto canonico[4].

V/ DIFFICOLTA' SPECIALI

Realizzare questo lavoro di non confondere le due scienze implica una difficoltà particolare: la Chiesa si muove in ambedue le scienze nello stesso tempo. Difatti la Chiesa esercita un magistero dottrinale, per cui si muove sulla linea della teologia; la stessa Chiesa poi, essendo società, pone e attua il suo ordinamento sociale, in cui si muove sulla linea della strumentalità. Ma siccome la Chiesa non pretende di far scienza né si preoccupa molto di mantenere le sue diverse espressioni esattamente conformi ai modi propri di una scienza o dell'a]tra, si sposta molte volte da Un campo all'altro usando le stesse espressioni. Esiste cosi una specie di simbiosi tra le due scienze nella vita della Chiesa.

Ciò procura ai teologi non poco lavoro e non pochi problemi delicati, e ai canonisti un certo disagio. Quindi il primo compito che s'impone ad ambedue e di discernere espressamente di quale scienza e logica si serve volta per volta l'autorità della Chiesa, giacché spesso riscontreranno che detta autorità si esprime in termini e modi canonici quando esercita il magistero, e viceversa in termini teologici quando stabilisce delle leggi. Da ciò si preservò il Vaticano II, cercando di esprimere la teologia della Chiesa nello stretto piano teologico e con termini e linguaggio teologici, anche se non vi é riuscito sempre.

D'altra parte, la Chiesa, che é una società soprannaturale, 'sacramento' e 'mistero', é società in senso analogo a quella civile e perciò il suo diritto 'canonico' é diritto analogo a quello della società civile. Di conseguenza il diritto canonico riceve le sue basi, la sua natura e il suo fine dalla teologia e non dal diritto civile, cosa che a volte é stata dimenticata in pratica. Perciò, e con ragione, non pochi teologi e canonisti reclamano una svolta nel diritto canonico verso la teologia e una maggiore 'teologizzazione' del diritto canonico.

Però siccome il diritto canonico costituisce una scienza propria, autonoma, per essere scienza di positivizzazione, coincide in questo col diritto civile, che può così apportare al diritto canonico un notevole contributo sotto l'aspetto di scienza autonoma, cioè nel suo lavoro di positivizzazione, di tecnica e di forma. Di conseguenza il mantenere il giusto equilibrio della scienza canonica tra la teologia e il diritto civile suppone una tensione in più tra teologi e canonisti. I canonisti se ne sono resi conto, come lo dimostra l'abbondantissima letteratura degli ultimi anni sopra la natura propria, 'giuridica', dell'ordinamento canonico, differente dall'ordinamento civile nel suo contenuto e coincidente con esso in non poche delle sue forme.

JIMENEZ URRESTI T., Diritto canonico e teologia, in: Concilium, III (1967), n. 8, p. 28-38.